IL QUADRO STORICO | La produzione del 20 centesimi Esagono ebbe inizio nel 1918, ovvero durante uno dei periodi storici più convulsi ed economicamente più depressi del regno di Vittorio Emanuele III. L’esigenza di immettere nella circolazione monetaria nazionale un nominale da 20 centesimi si era già manifestata dall’anno precedente, a seguito della preoccupante e progressiva sparizione dalla massa circolante delle monete spicciole in bronzo e nichelio, incettate dagli speculatori e sottratte alla loro naturale funzione monetaria dalle pressanti necessità belliche della Grande guerra. Il grave depauperamento del circolante minuto ed il conseguente aumento di gettoni succedanei della moneta spicciola emessi sia da istituzioni pubbliche che da ditte private, costrinse la Regia Zecca di Roma ad effettuare alcuni frettolosi studi tendenti a valutare l’introduzione di una moneta in alluminio o in ferro, non potendosi utilizzare, per le ragioni anzidette, i richiestissimi metalli (bronzo e nichelio) che fino a quel momento erano stati impiegati. Questi tentativi non ebbero però successo e rimasero quindi circoscritti alla sola fase progettuale.
LA CONIAZIONE | Il tempo stringeva e scartata a priori l’ipotesi di riprendere la coniazione del 20 centesimi, Libertà Librata del Bistolfi in nichelio pressoché puro (la relativa coniazione era stata peraltro sospesa fin dal 1915), si doveva trovare in tutta fretta una soluzione che contemperasse le esigenze delle casse statali con quella dell’introduzione di una moneta che fosse adeguata alla particolare contingenza storica. Che fare dunque? Come riporta il Lanfranco, nel suo saggio a puntate pubblicato in “Rassegna Numismatica” del 1932 a p. 312, “si fece strada il pensiero di utilizzare la grossa massa metallica monetaria costituita dai pezzi da 20 centesimi di nichelio misto (mistura di 75 parti di rame e 25 di nichelio) coniati negli anni 1894 e 1895 e poi ritirati per essere sostituiti con pezzi di nichelio puro, giusto il disposto della Legge 9 luglio 1905 nr. 363”.
Erano infatti ancora giacenti nei magazzini della Zecca grossi quantitativi di “nichelini” battuti negli anni 1894 e 1895 a nome di Umberto I, sebbene una parte considerevole di essi fosse già stata alienata all’industria privata come metallo da rifusione. Non si poteva quindi procedere ad una reviviscenza “sic et simpliciter”, del corso legale del “nichelino” (operazione che avrebbe potuto tecnicamente anche essere realizzabile con un Regio decreto ad hoc), e ciò proprio a causa delle cessioni già avvenute di tonnellate dei venti centesimi umbertini, ma si doveva procedere quanto meno ad effettuare un rapido ed economico “maquillage” delle precedenti impronte incise sulla moneta, tale da rendere “nuova”, almeno all’apparenza, la vecchia moneta già coniata.
A chi venne questa brillante idea? Il Lanfranco (op. cit., p. 312), afferma che venne a lui “la felice idea di ristampare con nuovi coni le vecchie monete” e che il Ministero del Tesoro, “senza consultare la Commissione monetaria, diede incarico alla Regia Zecca di allestire rapidamente nuovi coni che bene fossero adatti a cancellare le vecchie impronte, stampandone delle nuove”. Il problema tecnico della riconiazione venne invece affrontato e risolto dall’Incisore Capo della Zecca, professor Attilio Silvio Motti, che in brevissimo tempo e dopo una rapida sperimentazione, approntò i conii da utilizzare per la ristampa dei nichelini e “preparò due modelli per sostituire le vecchie impronte direttamente sulle monete emesse con un colpo della pressa” (“Relazione della Regia Zecca. 25 Esercizi finanziari dal 1° luglio 1914 al 30 giugno 1939”, p. 21).
Come vedremo, la rapidità nell’approntamento dei nuovi conii e la sommaria preparazione dei vecchi tondelli (“le sole operazioni alle quali le vecchie monete da 20 centesimi venivano sottoposte prima della stampa, consistevano in una rincozione entro recipienti chiusi ed in un successivo imbianchimento”, ibid., p. 22) non fu soltanto la causa di un lavoro artisticamente poco curato, ma si riverberò anche (o forse, soprattutto) sull’apparato normativo di supporto alla nuova emissione monetale, che risulterà nella circostanza alquanto impreciso ed insolitamente incompleto.
notiamo infatti in molte di queste monete i segni del vecchio tondello precedente:
Uno spicciolo solo all’apparenza privo di particolare interesse – risulta “figlia dei suoi tempi” ed assume certamente la connotazione di “moneta di necessità o di emergenza”. Riflettendo sulle anomalie che illustravamo sopra, si ha l’impressione che le autorità del Regno d’Italia provassero quasi imbarazzo, dopo le raffinate e ricche produzioni monetali dei primi tre lustri anni del Novecento, ad immettere nella circolazione una moneta povera, sia dal punto di vista artistico che da quello della composizione metallica; una sorta di “cenerentola” delle monete, creata in tutta fretta e da dimenticare al più presto.
Questo “imbarazzo” si è riverberato persino sulla formulazione, stilisticamente poco elegante ed anzi, persino farraginosa, dei provvedimenti istitutivi della nostra moneta. Ciò però si spiega e trova la sua giustificazione se si ha riguardo al momento storico ed alle impellenti esigenze che imposero questa coniazione di emergenza. Si può tuttavia affermare che, nonostante tutto, la nostra moneta sopravvisse al Regno d’Italia e si difese con grande dignità se è vero, come riporta la “Relazione della Regia Zecca” (op. cit., p. 22), che nel 1940 essa aveva“ancora dei residui di circolazione, quantunque da tempo ne sia stato disposto il ritiro e la sostituzione con monete di nichelio puro”.
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